Quando parliamo di intelligenza, la prima cosa a cui pensiamo è l’intelligenza logica e razionale, quella che chiamiamo QI. Ma esiste anche un’intelligenza emotiva che ci aiuta a riconoscere e a guidare i nostri stati d’animo e quelli degli altri. Questa capacità sta diventando sempre più importante nel mondo del lavoro. In un’indagine condotta nel 2018 dal sito di recruiting Carrier Builder, il 71% dei manager e responsabili hr ha dichiarato di ritenere l’intelligenza emotiva un requisito più importante del QI.

 

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Ma che cos’è l’intelligenza emotiva? E perché è considerata una skill fondamentale sul lavoro, soprattutto se si svolgono ruoli manageriali? Scopriamolo insieme partendo dalla teoria di Daniel Goleman, psicologo di fama mondiale.

Di che cosa parliamo quando parliamo di intelligenza emotiva

Il concetto di intelligenza emotiva è stato formulato per la prima volta nel 1990 da due psicologi americani, Peter Savoley e John D.Mayer. La definirono come “la capacità di controllare i sentimenti e le emozioni proprie e degli altri, distinguerle e agire di conseguenza. Attraverso queste informazioni, il soggetto è in grado di guidare il proprio pensiero e quello degli altri.”

Il termine ha preso una nuova sfumatura e acquistato maggiore popolarità nel 1995, con Emotional Intelligence di Daniel Goleman. Nel libro – divenuto rapidamente un bestseller – l’autore sostiene che l’intelligenza emotiva è un fattore determinante non solo per migliorare la propria vita privata, ma anche per avere successo nel mondo del lavoro.

L’immagine del leader freddo, distaccato e privo di emozioni viene quindi sostituita da quella del leader moderno che, grazie all’intelligenza emotiva, riesce a conoscere, controllare e coinvolgere i propri collaboratori. Lo spiega bene Goleman nell’incipt del suo terzo libro, Primal leadership – Unleashing the power of Emotional Intelligence: “I grandi leader ci fanno muovere. Accendono la nostra passione e ci ispirano a dare il meglio di noi. Quando cerchiamo di spiegare perché essi siano così efficaci, parliamo di strategia, visione o idee potenti. Ma la realtà è molto più basica: le grandi leadership lavorano attraverso le emozioni”.

I cinque pilastri dell’intelligenza emotiva

Sono cinque i pilastri individuati da Goleman su cui si basa l’intelligenza emotiva:

  • Consapevolezza di sé

La conoscenza di sé, dei propri sentimenti, dei propri punti di forza e di debolezza, è la base dell’intelligenza emotiva. Un leader consapevole di sé non si lascia sopraffare dalle proprie emozioni ed è in grado di dialogare con gli altri. Consapevolezza di sé significa anche conoscere i propri valori e saperli difendere.

 

  • Autocontrollo

 

L’autocontrollo, ovvero la capacità di dominare le emozioni senza reprimerle, è fondamentale per la gestione di un’impresa e di un team di successo. Di fronte a una situazione difficile, un buon leader deve mantenere la calma e la lucidità, senza farsi prendere dal panico e dalla propria emotività.

  • Automotivazione

Passione, determinazione, impegno costante: questa è l’automotivazione, la chiave per raggiungere anche gli obiettivi più difficili. Un leader di successo riesce a mantenere sempre alta la motivazione, soprattutto nei momenti di crisi, trainando e stimolando anche i propri collaboratori.

  • Empatia

Chi è empatico riesce a entrare in sintonia con gli altri, anche con gli estranei, stabilendo dei rapporti costruttivi. Come abbiamo già accennato, un buon leader non è una fredda macchina calcolatrice, ma un individuo capace di prestare attenzione ai segnali non verbali, accorgersi delle emozioni altrui e rispettarle.

  • Abilità sociali

L’ultimo pilastro dell’intelligenza emotiva riguarda le abilità sociali, ovvero la capacità di adattarsi alla situazione, di cogliere i segnali interpersonali e di rispondere con calma e coerenza. I migliori leader sono quelli dotati di flessibilità: in un attimo capiscono il contesto in cui si trovano, la persona che hanno davanti, e si comportano di conseguenza.

 

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