È un dato di fatto che l’emergenza coronavirus abbia cambiato per sempre il mondo del lavoro. Secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, a marzo 2020 gli italiani che lavorano da remoto sono passati da 500 mila a 8 milioni, tutto nel giro di poche settimane.
Oggi, a lockdown finito e nel pieno della fase due, molte aziende non sono tornate a lavorare come nell’epoca pre-covid 19 ma hanno deciso di continuare in modalità smart working. Ma sarà questa la nuova normalità? Al momento parrebbe di sì: l’indagine effettuata da BVA Doxa sugli effetti della diffusione del Coronavirus conferma che due aziende su cinque (in particolare quelle attive nei settori finance, utilities e TLC) sono intenzionate a restare in modalità smart working. L’osservatorio “Lockdown: come e perché sta cambiando le nostre vite?” avviato da Nomisba in collaborazione con CRFI spiega che il 56% dei lavoratori chiederà di rimanere in queste condizioni lavorative.
Twitter, Google e Facebook: i grandi continuano in smart working.
Twitter è stata tra le prime grandi realtà ad attivare lo smart working di massa a inizio marzo. L’esperimento avviato in pandemia sembra aver dato ottimi risultati, tanto che in un recente blog aziendale si legge che “gli uffici non saranno aperti prima di settembre”. E se ancora non si sa quando riapriranno, quel che è certo è che i dipendenti del colosso dei social network “potranno scegliere di lavorare da casa per sempre”.
Altre importanti società tecnologiche hanno seguito le orme di Twitter: Google e Facebook consentiranno ai dipendenti di scegliere se lavorare da casa o meno fino alla fine del 2020. Amazon non riaprirà gli uffici almeno fino a ottobre, ed Enel ha annunciato che lo smart working durerà fino a Natale.
Smart working non è home working
Prima di chiederci se lo smart working possa funzionare per sempre, dobbiamo ricordarci che il lavoro agile non è sinonimo di telelavoro. Vuoi la situazione di emergenza, vuoi la velocità della transizione, vuoi le scarse risorse tecnologiche, la verità è che molti di noi non stanno lavorando in smart working, ma in una sorta di home working improvvisato, poco equilibrato.
Complice il lockdown, quello che oggi chiamiamo smart working ci ha costretto a una reperibilità perenne ed estenuante che ha annientato la sfera privata. Se prima si staccava dall’ufficio, in quarantena si è dovuto lavorare, videochiamare e rispondere alle mail in qualsiasi momento perché tanto siamo a casa. Secondo un’indagine di Bloomerang, i lavoratori americani già sentono il peso di questo smart working poco smart e lamentano di lavorare tre ore in più al giorno.
Il vero smart working può essere forever
Per dare lunga vita allo smart working e agli svariati benefici che porta ad aziende e lavoratori è necessario adottare un nuovo approccio. Come spiega a Wired Fiorella Crespi, direttore dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano: “smart working significa gestione delle persone basata su delega, autonomia e loro responsabilizzazione, di base c’è la fiducia. I capi devono imparare non a controllare le persone ma il fatto che raggiungano gli obiettivi. Perciò devono saperli assegnare e verificare che li raggiungano.”
Non basta quindi spostare la scrivania dall’ufficio al salotto per diventare smart. Per lavorare in modo agile come si deve occorre:
- un cambio di mentalità, sia dei dipendenti ma soprattutto di manager e imprenditori
- una riorganizzazione e pianificazione attenta degli obiettivi
- il supporto della tecnologia , per permettere il contatto con i colleghi e la condivisione di idee e materiali
L’emergenza sanitaria ha indubbiamente dato una grande spinta allo smart working: ora spetta a noi raddrizzare il tiro se vogliamo trasformarla in normalità, benessere e benefici.