Siamo destinati a convivere con lo smart working, che ci piaccia o meno. Nello scorso articolo abbiamo descritto l’evoluzione del lavoro agile, che da soluzione straordinaria è diventata la nostra normalità. Gli esperti del mondo del lavoro concordano nel dire che lo smart working resterà anche dopo la fine dell’emergenza Coronavirus. “La reazione peggiore che si possa avere è tornare tutti quanti in ufficio e riprendere le vecchie abitudini”, ha dichiarato Cesare Avenia, presidente di Confindustria digitale.

La situazione emergenziale ha dato un’impennata a un processo di digitalizzazione che era comunque già in corso e inevitabile. Per rispettare il distanziamento sociale, anche gli imprenditori e i lavoratori più scettici, ancorati a una cultura aziendale basata sul controllo, sono stati costretti a ricorrere allo smart working. E vedere in prima persona i vantaggi di questo metodo di lavoro. Come spiega Alessandro De Felice, presidente ANRA (Associazione Nazionale dei Risk Manager): “Tra i motivi d’impedimento all’utilizzo dello smart working prima dell’emergenza, numerosi sono stati i riferimenti a una ‘mancanza di cultura’ tra i piani alti, un preconcetto legato alla mancanza di fiducia nei propri dipendenti che si trovano a fare lo stesso lavoro, ma da casa, secondo tempi e ritmi diversi. Questa visione si è ‘allentata’ quando lo smart working è entrato a far parte della nostra quotidianità, seppure in maniera forzata: le aziende hanno performato bene, nonostante le difficoltà che tutte le organizzazioni, in misura minore o maggiore, hanno riscontrato”.

Cinque miti da sfatare

Nonostante gli enormi passi avanti compiuti in questi ultimi mesi, rimangono ancora molti falsi miti legati allo smart working che portano le aziende e i dipendenti a rifiutare questa tipologia di lavoro. Scopriamo insieme le cinque convinzioni più diffuse che rendono difficile l’introduzione del lavoro agile.

  • Lo smart worker se ne approfitta

Nell’immaginario comune, lo smart worker è quello che si alza all’ora che vuole, si mette alla scrivania in pigiama e nel mentre si occupa delle faccende domestiche. Non essendoci il controllo fisico e diretto, il lavoratore da casa se ne approfitta e lavora meno. La verità è che i buoni dipendenti rimangono “buoni” in qualsiasi postazione; al contrario, la possibilità di lavorare da remoto ed essere indipendenti viene percepita come un atto di fiducia e incrementa la produttività. Lo conferma una survey Minsait, società di Indra, condotta a maggio tra i propri dipendenti: il 72% ha dichiarato di aver aumentato la propria produttività grazie allo smart working.

  • Lo smart worker può fare quello che vuole

Lavorare da casa, ahimè, non è sinonimo di vacanza e piena libertà. La vita da remoto è in verità molto frenetica, tanto che spesso si perde il contatto con la realtà: ci si dimentica di pranzare, si salta il caffè a metà mattina e si è reperibili 24 ore su 24. Il lavoratore agile, se non si organizza bene e se non riesce a tracciare una netta separazione tra vita lavorativa e personale, rischia di rimanere sommerso e non alzarsi mai dalla scrivania di casa.

  • Lo smart worker lavora per sé

Il lavoro agile non è sinonimo di isolamento. La comunicazione tra colleghi può infatti continuare anche se non si è compagni di scrivania: oggi abbiamo efficienti strumenti a disposizione per dialogare in modo snello e immediato a distanza. Dalle video call ai tool per la gestione del flusso lavorativo, passando per le mail e le più tradizionali chiamate, possiamo sempre rimanere in contatto con l’azienda. Per favorire il dialogo tra i dipendenti, alcune imprese istituiscono regolarmente delle call informali, dei “virtual coffe” tra colleghi con una sola regola: vietato parlare di lavoro.

  • Lo smart worker si distrae di più

Sfatiamo un altro falso mito: chi lavora da casa non si distrae più che in ufficio. Le possibilità di distrazioni sono infatti uguali in qualsiasi posto lavorativo, e il vero smart worker organizza al meglio il suo spazio per evitare distrazioni legate alla sfera privata. Se si lavora con altri, per esempio, è fondamentale stabilire delle regole precise per i momenti di pausa e conversazione. Può essere di aiuto anche preparare una postazione lavorativa confortevole, pratica ed essenziale. Ricordiamo inoltre che smart working non significa necessariamente home working: molti lavoratori preferiscono caffè tranquilli e strutture di coworking alle mura domestiche.

  • Chi lavora da casa ha meno possibilità di training

Senza una presenza in ufficio, sembra più difficile poter imparare dai colleghi e ricevere il giusto training per migliorare le proprie prestazioni. Un falso mito, questo, che non tiene conto delle enormi potenzialità della tecnologia: dai corsi online a quelli blended, dai tutorial più tecnici alla condivisione degli screen, la formazione digitale offre infinite soluzioni a costi contenuti. I lavoratori possono inoltre decidere come e quando seguire le lezioni, organizzando al meglio la propria vita lavorativa. Un vantaggio non da poco.